Antonio Maggiore
Ambasciatore d'Italia in Zambia e Malawi
Da lontano..
Graziano Diana
Regista
“Edda Ciano e il comunista”.
Peppe Costa
Giudice
Quarant’anni, un’intensa vicenda liparitana.
Valeria Amendola
Economista
Il Centro Studi di Lipari
Paolo Mauri
Giornalista
Sono passati quarant’anni da quando il Centro..
Sergio Todesco
Assessorato Beni Culturali
Per i quarant’anni del Centro Studi Eoliani
Giovanni Ingrascì
Giudice
Dopo oltre quarant’anni continuo a chiedermi perchè..
Danilo Baroncini
Giornalista
Eravamo alla fine del secolo scorso e i nostri impegni..
Barbara Palombelli
Giornalista
Eolie..
Melo Freni
Giornalista
Le mie Eolie..
Paola Pajno
Socia Sostenitrice
Carissimi amici ..
Ettore Barnao
Professore
Il mio incontro col Centro Studi..
Marco Saltalamacchia
Manager
Quarant’anni del “Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani”
Alberto Siracusano
Prof. Ordinario di Psichiatria-Università Tor Vergata Roma
L’OTTAVA ISOLA: la cultura oltre i confini.
Davide D'amico
Prof. Emerito di Chirurgia Università di Padova
Per il 40° Anniversario della nascita del “Centro Studi” a Lipari
Maria Carnevale
Professoressa
Il libro di Lazzaro Spallanzani (Destinazione Eolie, tratto da Viaggi alle Due Sicilie 1788)…
Roberto Cincotta
Direttore Istituto Italiano a Belgrado
Nel 1985…
Antonio Calabrò
Giornalista
Le Isole Eolie: sette, straordinarie, sono luoghi in cui la natura..
Gianni Iacolino
Medico
Giunti a quarant’anni di attività, si scopre….
Gian Lorenzo Cornado
Ambasciatore d'Italia in Svizzera
Bartolo Zagami
Socio Onorario Centro Studi
Custodi dell’altro “segreto” altrettanto
importante: l’amicizia, il sentimento che ha consentito loro, in un contesto isolano
quindi individualista per antonomasia, di tenere unito un gruppo di persone per
quarant’anni, cosa (per la mia lunga esperienza) mai verificatasi alle Eolie.
40 anni Centro Studi
Eravamo alla fine del secolo scorso e i nostri impegni di lavoro si erano conclusi. Passavamo molto tempo a Salina ed eravamo innamorati delle isole Eolie. Avevamo lasciato da poco un mensile che si occupava di cucina. Erano gli anni in cui nei ristoranti il cibo diventava simbolo di vita raffinata e il vino che lo accompagnava doveva aver ricevuto buoni punteggi dai professionisti della degustazione. Nell’arcipelago invece era ancora presente buona parte di quella generazione di isolani che metteva in tavola sapori elaborati nel passato. Sapori inventati da una comunità che per il proprio sostentamento dipendeva esclusivamente dalla terra. E questo aveva stimolato il nostro interesse. Un tuffo nel passato! Su suggerimento di Sabina Giuffré, allora Assessore alla Cultura del Comune di Santa Marina, parlammo con Nino Paino della nostra idea di scrivere un libro sulla cucina eoliana. Nel giro di pochi minuti la nostra intenzione diventò realtà. Nino Paino, già allora direttore del Centro Studi, ci assicurò subito la pubblicazione di un libro e cominciò a darci consigli su come comportarci nell’arcipelago. Seguendo le sue indicazioni cominciammo a muoverci in tutte le isole e le nostre giornate eoliane si arricchirono di tante scoperte affascinanti. Fin dai primi giorni notammo che le verdure e i legumi erano presenti in molte preparazioni. Le minestre e quelli che normalmente chiamiamo contorni, avevano un ruolo di primo piano. Invece la pasta, che era sopratutto fatta in casa, non era così frequente come potrebbe sembrare oggi guardando i menu esposti nei ristoranti delle Eolie.
Bastarono pochi giorni per renderci conto dei tanti forni a legna presenti nell’arcipelago. Si trovavano in quasi tutte le case e quasi tutti i nostri interlocutori ci parlavano del rito della panificazione domestica. I forni venivano definiti in base alla quantità di pane che potevano contenere. C’erano anche forni da cinquanta chili: una produzione che richiedeva la partecipazione di tutta la famiglia. A fine cottura, in un clima di festa, veniva consumato un po’ del pane ancora caldo, condito con olio e cosparso di pomodorini, capperi, aglio, cipolle, acciughe salate. Terminato il rito del pane fresco il resto veniva rimesso nel forno per una notte mentre la temperatura si stava abbassando. Una volta caliatu, il pane si conservava a lungo e potevano passare giorni o settimane prima di dover riaccendere forni di quella grandezza. E così sono nate tante ricette in cui è protagonista il pani caliatu. Come ci ha detto Marina Gullo a Salina: non si tratta di pane raffermo. Con il pane raffermo ha in comune solo la secchezza. Ma le sorprese furono tante. A Lipari assaggiammo la pasta cu’ i pasticci, una minestra con castagne essiccate. Come ci disse Grazia Natoli: un piatto presente nelle cucine europee sino alla fine del Settecento. Sopravvissuto invece nelle Eolie per almeno un paio di secoli in più! Assunta Lo Schiavo, nata a Ginostra, che finalmente a 22 anni, nel 1948, andò in Sicilia e per la prima volta vide, come in un sogno, auto e biciclette, ci parlò con nostalgia della sua pasta cu’ i pusieddi (piselli), una minestra ormai dimenticata che ad Assunta ricordava la sua infanzia vissuta nel dolce silenzio di Ginostra. I badduottuli i’ opi ce li ha fatti conoscere Clementina Tesoriero, emigrata in Australia ma spesso di ritorno nella sua Panarea. Opi sono le boghe. I badduottuli sono polpette, ma Clementina nel farci la traduzione tirò fuori una risatina un po’ maliziosa nel rivelarci che badduottuli sono anche i testicoli. A Filicudi assaggiammo la pasta cu ‘i patati. Una minestra che si trova dappertutto ma la versione di Giuseppa Lopes Ferlazzo, con l’aggiunta di foglie di alloro, diventava un piatto di classe. L’ingegno e la fantasia non avevano limiti quando si trattava di dare sapori a piatti poveri. Ad Alicudi Maria Giuseppa Taranto, classe 1917, ci parlò della Gnotta ‘i cocci (Ghiotta di sassi di mare), un piatto che sa di mare senza avere pesce fra gli ingredienti. L’aroma marino viene da sassi ricoperti di alghe verdi che vengono raccolti sott’acqua, non lontano dalla riva. Messi in pentola per una ventina di minuti trasmettono un delicato profumo marino a un piatto di pasta o a una minestra. I ciuri ‘i cucuzza affucati, i fiori di cocuzza in padella, ce li ha fatti conoscere Nunzia Magnaci a Vulcano: un piatto semplice e veloce da preparare, allora popolare a Vulcano perché le donne erano impegnate nell’agricoltura e avevano poco tempo per i lavori di casa. Gli incontri, tutti interessanti e piacevoli, furono tantissimi e si protrassero per quasi un anno. Grazie alle indicazioni di Nino Paino eravamo sempre accolti con simpatia e più volte ci fu offerto di entrare nelle cucine e partecipare alle preparazioni. In qualche occasione fummo anche invitati a tavola per degustare, insieme ai padroni di casa, i sapori del passato. Sapori che nascevano da una agricoltura che non avvelenava il mondo. Rivisto oggi, a distanza di oltre vent’anni, quel modo di vivere (e di nutrirsi) aveva aspetti positivi che oggi potrebbero aiutarci a salvare il pianeta.
Ringraziamo il Centro Studi, sempre molto attento alla storia e alle particolarità dell’arcipelago, per averci fatto vivere quel mondo e averci aiutati a documentarlo.
Susan Lord e Danilo Baroncini
Dopo oltre quarant’anni continuo a chiedermi perché
nell’aprile del 1976 la nave Caravaggio mi sbarcava Lipari con moglie e due bimbe per fare il giudice in un territorio a me sconosciuto cambiando vita e abitudini. Non ho una risposta, se non quella del desiderio di conoscere, sperimentare e sfidare me stesso, come uomo e come magistrato, in un territorio di antica civiltà ancora non compromesso da uno sviluppo economico disordinato. A metà degli anni ‘70 Lipari viveva come una piccola cittadina non ancora raggiunta da quel benessere economico che, in altri luoghi del nostro paese, altrettanto ricchi di storia e tradizioni, stava tra mille contraddizioni mutando abitudini e stili di vita. Le auto erano pochissime, dalle quattro del pomeriggio alla mattina dopo il collegamento con la Sicilia era interrotto, il turismo cominciava a svilupparsi, le risorse principali erano ancora quelle tradizionali: l’agricoltura, le cave di pomice e un terziario legato agli approvvigionamenti, alla navigazione e ai servizi portuali, nonché ad una edilizia troppo spontanea e… disinvolta.
Ho avvertito subito l’esigenza forte dei Liparoti di avere risposte ad antiche domande di giustizia mai soddisfatte. Lipari viveva un’ingiustizia antica sedimentata, accettata, perché conseguenza naturale di una vita sociale con compiti e ruoli ben definiti. Il contadino, il pescatore, il bottegaio, l’albergatore, il vigile urbano, il professore, il sindaco erano perfettamente consapevoli dei limiti e delle possibilità relative al loro compito nella società e al potere che ne derivava, non tanto dalle capacità e dalla cultura ma esclusivamente dal loro status non discutibile. Mancava soprattutto la consapevolezza di possedere un patrimonio culturale e ambientale unico al mondo, nonostante la presenza di un importante museo archeologico e dell’opera di ricercatori come Bernabò Brea e la professoressa Cavalier.
Prendo servizio il 6 maggio 1976 e il mio impegno primario è molto semplice e nello stesso tempo terribilmente difficile da realizzare: far comprendere agli eoliani che vivono in un territorio straordinario e che dall’ultimo al primo cittadino hanno il medesimo diritto a ottenere una rapida risposta a una richiesta di giustizia. Mi riprometto tuttavia di non “dettar legge”, ma di convincere i cittadini più sensibili che il loro prezioso patrimonio artistico e culturale doveva essere riconosciuto e difeso di fronte al mondo. Avverto subito il mal governo dei rifiuti urbani e un forte abusivismo edilizio, situazioni che dovevano essere affrontate con il necessario rigore, accompagnato tuttavia dal convincimento che la difesa del patrimonio culturale e ambientale delle isole rappresentava il loro futuro. Nasce così un rapporto prezioso, una vera e propria sinergia tra il mio impegno quotidiano di magistrato e un’iniziativa di un gruppo di giovani che, come in una specie di cenacolo, si riuniva nella lontana frazione di Quattropani guidati dal giovane Nino Paino, mio collaboratore in Pretura. La motivazione di quei ragazzi era forte e la collaborazione con il mio ufficio diventava sempre più importante nell’ambito della protezione del territorio, diffondendo per la prima volta tra i cittadini l’attenzione all’ambiente, tanto da inaugurare insieme a loro una sorta di movimento ecologico. Quei giovani avevano una finalità ben precisa, ma complessa: conoscere e studiare la cultura e la storia della loro terra, comunicarle ai propri concittadini partendo proprio da una contrada antica e isolata, fino allora considerata lontana dalla cosiddetta civiltà del centro storico di Lipari.
L’impegno cresce a tal punto da arrivare alla nascita del Centro Studi e Ricerche di storia e problemi eoliani con la ragione sociale di promuovere ogni evento possibile a protezione del patrimonio culturale e ambientale delle isole Eolie. Indispensabile a quel punto abbandonare la lontana contrada di Quattropani e… conquistare il cuore del centro storico di Lipari in una sede adeguata alla realizzazione di un progetto così ambizioso. Condividendo in toto l’impegno e l’entusiasmo dei giovani, essendo il mio ufficio in prima linea dal punto di vista giudiziario nella difesa del patrimonio ambientale delle isole, ho convinto con una certa fermezza e forse un po’ abusando del mio potere (se fu reato è prescritto.. ) l’allora Sindaco a concedere un piccolo locale quasi in stato di abbandono che in poche settimane viene ristrutturato e diventa l’attuale sede del Centro Studio. La mia partecipazione alle loro attività negli anni di permanenza presso la Pretura è ricca di ricordi felici particolarmente legati al cinema e a personaggi straordinari come Ettore Scola, Michelangelo Antonioni, i fratelli Taviani, Walter Chiari, Nanni Moretti e molti altri da me frequentati anche personalmente, tutti innamorati delle Eolie grazie all’accoglienza del Centro Studi e tutti affascinati dall’atmosfera magica dell’isola.Ettore Scola non sapeva nuotare, si buttava in acqua dalla mia barca con una ciambella legata ad una cima e sguazzava per un’ora fino a che non lo tiravamo letteralmente a bordo.
Antonioni durante la proiezione del suo famoso film “ l’ Avventura”, vecchia pellicola recuperata da noi in una cineteca di Roma, non ha sopportato il gracchiare del sonoro e le immagini sgranate, si è alzato dal gradino in prima fila del teatro a ha sbattuto avvilito i pugni sulla lamiera di una baracca dietro le quinte. Il giorno dopo faceva il bagno con noi nel mare davanti all’hotel Carasco e la sera cenava in terrazza a casa mia. Walter Chiari, eterno ritardatario, atteso per oltre un’ora per una serata al castello si faceva perdonare con monologhi irresistibili. Il giorno dopo si andava a cena con lui a Vulcano e continuava instancabile a farci morire dalle risate. I fratelli Taviani per tutta l’estate hanno girato a Lipari il film “Kaos” dopo aver reclutato come interpreti alcuni bambini di Lipari tra cui mia figlia Ombretta. Ma aldilà dei felici ricordi personali legati alla collaborazione nei primi anni del mio impegno a Lipari, in totale sinergia con il Centro Studi, desidero, in occasione del quarantennale, esprimere il mio profondo apprezzamento per tutti i soci vecchi e nuovi che hanno dimostrato che la vera cultura, basata sullo studio e la ricerca, non ha alcuna remora né timore reverenziale nell’affrontare impegni, eventi, e personaggi illustri a qualsiasi livello nazionale e internazionale.
Concludo riconoscendo anche la grande sensibilità dei ragazzi del Centro Studi, come continuo a chiamarli, che hanno fin dall’inizio della loro esperienza condiviso e fatti propri i valori assoluti e inalienabili dell’uomo, testimoniando con le loro iniziative le vicende di uomini e donne al confino politico e le sofferenze di uomini e donne schiavizzati nelle cave di pomice.
Giovanni Ingrascí
Lipari
Sono passati quarant’anni da quando è nato a Lipari il Centro Studi di via Maurolico. Lo avevano fondato tre ragazzi, oggi lo celebrano tre uomini fatti insieme a tutti gli abitanti dell’isola e ai molti che l’isola la frequentano come ospiti. Che cosa ha fatto il Centro Studi in tutto questo tempo? Intanto ha guardato e ripensato l’isola, e insieme all’isola l’arcipelago di cui fa parte, nella sua lunga storia. E’facile, parlando di Lipari, che si accenni al Paradiso, per la bellezza del mare e l’incanto dei paesaggi, ma dietro al Paradiso dei turisti e degli amanti della natura, c’è stato per lungo tempo un Purgatorio, quando (e non per primo) il regime fascista decise di sfruttare l’isola per confinarvi i suoi avversari. Da qui, da Lipari, fuggirono i fratelli Rosselli, poi riparati in Francia e lì assassinati per ordine delle camicie nere. Qui passò sette mesi Curzio Malaparte, che raccolse il cane Febo a Marina Corta e si identificò in lui. Qui furono confinati Emilio Lussu, Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, e moltissimi altri più o meno illustri: sarebbero stati l’Italia di domani, quella uscita dalla Resistenza. Al tema dei confinati, dei coatti come si diceva allora, ha dedicato uno studio Giuseppe La Greca, “La lunga notte di Lipari”, dove si parte dall’Ottocento per attraversare poi buona parte del secolo scorso. E bisogna aggiungere che a La Greca, si devono saggi su diversi aspetti della storia dell’isola, dalle cave di pomice (ben tre volumi) alla produzione dei vini passiti e della celebre malvasia, oltre ad una monografia su Malaparte a Lipari. Prima del turismo l’isola era povera: da tempo gli abitanti emigravano verso l’Australia o verso l’America, quando non si spaccavano schiena e polmoni nelle cave di pomice. Al Centro Studi si è parlato di tutto questo: con convegni e libri, molti libri che si sono allineati nello scaffale fino a formare una grande biblioteca eoliana. Sono tutte da guardare le fotografie di Cecilia Mangini raccolte in un volume dedicato alle cave di pomice. Risalgono al 1952, e il biancore allucinante (l’espressione è della stessa fotografa) creava scenari lunari. La stessa polvere sarebbe servita più tardi, scaricata in mare, a creare spiagge bianchissime per l’incanto dei bagnanti.
Naturalmente il Centro Studi si è occupato dei viaggiatori illustri che hanno visitato l’arcipelago nel corso del tempo e scritto del loro incontro con queste isole, da Alexandre Dumas a Lazzaro Spallanzani e ad Adolf Freiherr von Pereira …senza contare i viaggiatori antichi testimoniati dai volumi a cura di Clara Raimondi e ancora Giuseppe La Greca. Poi c’è stato il cinema. Nell’ultimo scorcio degli anni Quaranta ci fu una buffa guerra dei vulcani, tra William Dieterle che girava “Vulcano” interpretato da Anna Magnani e Roberto Rossellini che dirigeva “Stromboli, terra di Dio” con la Bergman. La guerra nasceva anche dal fatto che Rossellini aveva appena lasciato la Magnani e si era messo con la Bergman per cui i rotocalchi dell’epoca impazzirono e le isole furono al centro di un pettegolezzo mondiale. Al cinema il Centro Studi ha dato da subito molto spazio: sono molti i film che narrano a loro modo le isole , da “Kaos” dei fratelli Taviani, a “Caro Diario” di Nanni Moretti, al”Postino” con Troisi. Il Centro ha anche istituito un premio per il cinema, L’Efesto d’Oro. Un capolavoro è stata poi la settimana promozionale organizzata nel 1998 a Los Angeles e a New York. Le Eolie al MoMa, le Eolie all’Istituto Italiano di Cultura (allora diretto da Gioachino Lanza Tomasi) , le Eolie alla Casa Italiana Zerilli Marimò…Non solo:le Eolie all’Onu per il gemellaggio con i piccoli stati insulari nel mondo. Anche qui c’è una pubblicazione di Giuseppe La Greca che ripercorre tutti i momenti significativi dell’impresa.
Non abbiamo citato la cucina eoliana, a cui il Centro Studi ha dedicato le sue attenzioni. Il pane caliatu era un pane cotto due volte (bis-cotto) per poterlo conservare a lungo e accompagnarlo a pesce o carne. Quarant’anni: il viaggio del Centro Studi ora diretto da Nino Paino, si può dire appena cominciato. Lipari misura la sua storia in millenni e dunque…
Paolo Mauri
Per i quarant’anni del Centro Studi Eoliani
Ho iniziato a frequentare con una certa continuità l’Arcipelago Eoliano a partire dalla fine degli anni ’80. Il mio lavoro di direzione della Sezione Etno-antropologica della Soprintendenza di Messina me ne imponeva in qualche modo la frequentazione, costituendo le isole Eolie nel loro complesso uno straordinario giacimento di beni materiali e immateriali relativi alla cultura tradizionale, della cui conoscenza, tutela e valorizzazione avevo la competenza.
Fin dai primi anni di quella straordinaria stagione dei beni culturali in Sicilia ho trovato negli amici del “Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani”, e in Nino Paino in particolare che a quel tempo lo dirigeva, una preziosa collaborazione che si venne concretizzando in una pluralità di modi, nel segnalare beni a rischio sui quali esercitare la tutela, o in via di sparizione da documentare per conservarne memoria; ma anche agevolando i miei contatti con le Istituzioni locali e “iniziandomi” progressivamente alla conoscenza dei documenti storici, archivistici, letterari sulle Eolie.
Già in quei primi anni mi apparve chiaro che il Centro Studi non era un sodalizio formato da gente interessata a oziosi esercizi di erudizione locale, bensì una famiglia di persone seriamente, direi visceralmente, volta a praticare il gusto della memoria e tendere al mantenimento di un’identità quanto mai a rischio di opacizzazione in un luogo come l’Arcipelago, da decenni fatto oggetto di imponenti flussi turistici (parte dei quali del genere mordi-e-fuggi) che rischiavano di arrecare mutazioni radicali e irreversibili all’assetto territoriale, sociale, antropologico di queste isole, ricche di memorie tra le più antiche nell’intero bacino mediterraneo.
La mia vicinanza al Centro, direi la mia piena sintonia con le prospettive e i valori che stavano alla base del suo operare, mi indussero a intensificare la mia presenza e le iniziative di conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio tradizionale eoliano, concretizzatesi nel corso di un ventennio in pubblicazioni, mostre, partecipazione a convegni, vincoli, restauri, provvedimenti istituzionali di vario genere. Mi limito a menzionare in questa sede un monumentale Atlante dei Beni Etno-antropologici Eoliani (1995), la cui presentazione a Lipari non a caso venne promossa e organizzata dal Centro; il restauro di gran parte del patrimonio pittorico votivo presente in alcune isole dell’Arcipelago (Lipari, Salina, Stromboli); il lavoro svolto, nella veste di antropologo, in seno al Comitato Scientifico incaricato di redigere le Linee Guida del Piano di Gestione Unesco Isole Eolie, che hanno disciplinato le azioni coerenti con l’inserimento, avvenuto nel 2000, delle Isole Eolie nella World Heritage List, che ha posto l’Arcipelago Eoliano all’attenzione di tutta la comunità internazionale.
Oltre a ciò, una serie nutrita di incontri cordiali, di proficui scambi intellettuali e affettivi con Nino Paino, con Nino Saltalamacchia e molti altri appassionati e partecipi componenti questo prezioso sodalizio. In breve, un’esperienza di lavoro in sinergia e piena sintonia intellettuale e “civile” con quanto il Centro è venuto promuovendo nella sua pluridecennale attività.
Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso Ernesto de Martino, nel rivendicare il suo senso di appartenenza alla Lucania, da lui percepita come patria culturale, osservava che “ciò che conta non è … l’essere anagrafico, che accomuna nella sua indifferenza di date di nascite e registrazioni di morti, ma l’essere che è cercato e riconosciuto”. Tale è stato e continua a essere per me l’Arcipelago, una delle patrie culturali cui mi è avvenuto di legare conoscenze, memorie, emozioni, affetti. E il Centro Studi Eoliani ha contribuito potentemente a rafforzare in me questo sentimento, questa filiazione.
Sergio Todesco
Carissimi amici del Centro Studi
nonostante ci provi, probabilmente non riuscirò a esprimere con le parole giuste i miei sentimenti di gioia e di stima per questo vostro importante compleanno!
E mi sommerge la ben nota e particolare nostalgia che è presenza forte di persone, emozioni e luoghi di quel lontano 1981 che tornano a trovarmi…al pari di un’ondata di risacca del nostro mare, che restituisce brandelli di rottami anche a distanza di anni…
Il mio non è stato invero, lo confesso, il classico “amore a prima vista”, rimanendo all’epoca anzi piuttosto scettica persino al cospetto degli autorevoli e risoluti commenti di Papà e Mamma che, in sintesi, sollecitavano a cogliere il significato straordinario di quella Associazione, che avrei comunque certamente compreso in seguito, acquisendo da adulta la consapevolezza che un popolo senza memoria delle proprie radici è destinato fatalmente a non poter sopravvivere.
Avevano ragione loro, come sempre, e infatti, immancabilmente, partendo poi in via definitiva da Lipari (senza peraltro andare via mai) ho cominciato ad apprezzare l’impegno che quei temerari ragazzi stavano portando avanti anno dopo anno con entusiasmo, e con tanto lavoro prima e dopo le luci dei sospirati riflettori puntati sulle varie iniziative organizzate per il grande pubblico, dagli esordi a tinte più tenui agli scenari di più ampio respiro a livello internazionale. Si, mantenere vivo l’interesse per le nostre isole e per la nostra storia, per coloro che restano e per coloro che da queste isole partono, è stata la colonna sonora portante che vi ha mosso e consentito in questi 40 anni di attività di essere conosciuti e riconosciuti quale punto di riferimento prezioso soprattutto per tanti “Eoliani” di adozione o per scelta.
Eppure mi piace adesso pensare con i versi di Wislawa SZYMBORSKA che anche per voi “ogni inizio infatti è solo un seguito e il libro degli eventi è aperto solo a metà” e che i tempi siano dunque ormai maturi per apportare nuova linfa sul territorio, con una promozione culturale che coinvolga maggiormente la popolazione locale, per costituire un centro catalizzatore spontaneo di potenzialità e di esperienze, affinché la cultura possa non limitarsi in futuro ancora soltanto a una chimera occasionale e di passaggio bensì consolidarsi nel quotidiano a beneficio di tutti e di ciascuno.
Vi auguro quindi tutto il bello che deve ancora avvenire, per gli antichi e i nuovi sogni nel cassetto da realizzare, e per tanti buoni motivi per sorridere davvero, nel profondo.
Paola Pajno
“Le mie Eolie” è il titolo di un mio libro del 2004, che raccoglie gli scritti di ben cinquant’anni delle mie frequentazioni liparitane, originate da assidue e intense motivazioni sentimentali e culturali.
L’amabilità quasi paterna di Filippino Bernardi, ristoratore e in buona parte motore dell’economia rappresentativa del capoluogo dell’arcipelago, mi aprì alla scoperta di un mondo meraviglioso; la considerazione del prof. Bernabò Brea, archeologo e mentore degli interessi culturali di tutto un mondo al limite della fantasia; la chiamata a socio benemerito di quella splendida realtà che era (e rimane) il “Centro Studi Eoliano” mi fece sentire di una appartenenza intima e sostanziale dovuta a quanto dell’isola andavo scrivendo fra cultura, paesaggio e tradizioni, scrivendo e pubblicando.
Adesso Nino Paino, immarcescibile presidente e benemerito, mi riporta al consuntivo di tanta splendida materia di cui il “Centro Studi” è stato e rimane intero e vivida testimonianza, costringendomi a qualche attimo di nostalgia e nel contempo di appagamento per tutto quello che da Lipari ho potuto attingere e assimilare nel segno di una memoria sempre accesa.
Ricordo le occasioni di una intensa attività letteraria, incontri, dibattiti, conferenze, sempre nel segno di una programmazione volta innanzitutto alla riscoperta di quel mondo fantastico che attraverso i secoli, fra natura e cultura, ha impresso all’isola il crisma di un piccolo mondo antico, restio ad aprirsi al varco di tante neodervità che offuscano i sentimenti.
Questo potremmo dire del “Centro Studi”: un fascio di luce sincera realtà sfuggita a tante intemperie della modernità: un impegno di oggi con l’augurio che possa durare nel tempo, quale testimonianza di un mondo che ha dato un senso alla storia. Che Lipari conservi per sempre questa luce, che sia custode partecipe e gelosa, attingendo sempre a quelle sedimentazioni che mantengono vive nel tempo le motivazioni di un ruolo non secondario nel compito di tutto quello che nel tempo ha dato un segno di concretezza alle attività che il “Centro Studi” ha promosso: memoria come tante di vita.
Lipari, d’altronde, si presta bene a questa particolare di rimandi che fanno dell’isola un luogo privilegiate: e valgano le pagine della “questione liparitana” esaltata da Leonardo Sciascia nel contrasto, in pieno ‘700, fra potere politico e potere religioso, a difesa della “apostolica legazia”; e valga la serie dei vescovi che, in regime di autentiche povertà, difesero i diritti della povera gente contro il prevalere di un assolutismo politico cui si opponevano iniziative di soccorso e si autentica carità.
Lipari, ancora, ed i suoi riferimenti scientifici con l’attività di quel grande vulcanologo che fu Lazzaro Spallanzani, che a Lipari segnò uno dei riferimenti principali (se non esclusivi) della sua attività da scienziato.
Sono parziali i riferimenti che portiamo, ma bastano ad individuare l’importanza fondamentale che il “Centro Studi” può assumere, in un contesto dove, archeologia a parte, il richiamo delle attività culturali e sociali, si pone come elemento primario nel compito di tutto ciò che può fare di un’isola, una piccola isola, la capitale di un “piccolo mondo” che il “Centro Studi” custodisce ed esalta.
Oggi come ieri, e come ieri nella prospettiva dei decenni, perché nulla si perda di tanto patrimonio, a vanto di una eredità che va ricordata e difesa.
Melo Freni
Il mio primo incontro col Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani risale ad alcuni anni fa in occasione della pubblicazione del mio libro sulla storia di Stromboli. Conoscevo per sentito dire, per fama, l’importanza del Centro e il suo ruolo nel promuovere la cultura eoliana; perciò varcare per la prima volta la soglia della Sede di via Maurolico, poter condividere con altri, come me interessati alla storia delle nostre isole, i risultati delle mie ricerche, è stato per me motivo di grande compiacimento. Sono figlio di uno strombolano e la mia famiglia è una delle più antiche famiglie di Stromboli. Il mio interesse per le isole Eolie, particolarmente per Stromboli e la sua storia, nasce dal desiderio di conoscere soprattutto la storia della mia isola, dell’isola dei miei antenati, specialmente a partire da quando all’inizio del Settecento avvenne il ripopolamento di Stromboli e la nascita della prima comunità strombolana dell’età moderna.
Da quel primo incontro, altri ne sono succeduti che mi hanno sempre più stimolato a perseguire gli obiettivi di fare emergere la storia di Stromboli dalle biblioteche, dagli archivi, dalla tradizione orale, dai segni lasciati qua e là sull’isola dagli strombolani del passato (iscrizioni, edicole votive, ecc.). Il Centro mi ha anche fornito l’occasione di incontrare appassionati studiosi della storia delle nostre isole, con i quali confrontarmi e stabilire proficue collaborazioni.
Il Centro, nato per fare memoria della ricchezza costituita dalla storia e del patrimonio culturale delle isole Eolie, da quaranta anni a questa parte, da quando nel 1981 è stato costituito, attraverso le sue molteplici attività, trasmette e testimonia questa ricchezza non solo alle nuove generazioni di eoliani, fornendo loro stimoli per una approfondita conoscenza della storia millenaria e della cultura delle nostre isole, ma anche a coloro che, non eoliani, sono attratti dal fascino delle nostre isole.
Inoltre, il Centro svolge un ruolo fondamentale nel rapporto con le comunità eoliane all’estero, assolve un compito straordinario: quello di realizzare, attraverso varie iniziative, una sorta di ponte, uno strumento di collegamento tra il mondo delle comunità eoliane in terre lontane e le isole delle loro origini con il loro patrimonio culturale, storico ed ambientale. In particolare, fondamentale è il ruolo che il Centro può svolgere nei confronti dei figli di emigrati eoliani e dei loro nipoti e pronipoti che vengono a visitare l’isola delle loro origini. Diversi possono essere i motivi che inducono a questa visita: forse per conoscere il passato della propria famiglia, le ragioni dell’emigrazione dei loro padri, o forse per scoprire i caratteri della “eolianità”. Si compiacciono grandemente se qualcuno riscontra in loro carattere e tratti somatici di un loro antenato eoliano! Secondo quanto mi disse un mio lontano parente neozelandese, che venne a celebrare il suo sessantaseiesimo compleanno a Stromboli, uno dei motivi che lo spinsero a tornare una seconda volta, e in quel certo periodo dell’anno, fu quello di realizzare un sogno: potere dire con soddisfazione “di avere celebrato almeno uno dei sui compleanni a Stromboli, la terra dei suoi avi!” Generalmente, non parlano italiano e spesso hanno perso buona parte della memoria storica della famiglia. A volte, arrivano e cercano i segni lasciati dai loro antenati, cercano qualcuno che li abbia conosciuti, magari un aneddoto che li riguardi. Cercano una casa, una qualunque, che sia appartenuta alla famiglia. Vanno nella chiesa. Vanno al cimitero. Cercano una lapide, una iscrizione, qualcosa da fotografare per mantenerne il ricordo. Il loro viaggio spesso cerca di stabilire, più o meno consapevolmente, un contatto col passato, con la storia e la cultura dei loro antenati, di soddisfare un bisogno di conoscenza. Ebbene, l’incontro col Centro costituisce, spesso, l’unica fonte capace di soddisfare tale bisogno.
Tra le innumerevoli iniziative perseguite dal Centro, particolarmente meritoria è quella editoriale. Il libro rimane ancora il più grande e poderoso veicolo di trasmissione della cultura e dei fatti della cultura! Le Edizioni del Centro Studi Eoliano sono una realtà di grande importanza per le nostre isole e costituiscono il principale riferimento per la pubblicazione di libri di contenuto culturale sulle isole Eolie, con numerose collane, tutte di prestigio (Cinema Eoliano, Viaggiatori alle Eolie, Storia Eoliana, Emigrazione Eoliana, Libri Fotografici, Narrativa Eoliana, Guide e Percorsi, V. Cabianca alle Eolie). Uno dei meriti principali che bisogna riconoscere alle Edizioni del Centro Studi Eoliano è quello di avere dato ampio spazio alla pubblicazione di libri che trattano argomenti di storia locale, che fanno riferimento all’uso di archivi e fonti primarie.
Il mio incontro col Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani è avvenuto per il tramite del suo vicepresidente Nino Picone, che ho avuto il piacere di conoscere professionalmente più di trenta anni fa. Sono lieto di avere conosciuto Nino Paino, direttore del Centro, e il presidente Nino Saltalamacchia. A tutti loro va il mio apprezzamento per la loro opera che determina il successo del Centro.
Quarant’anni del “Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani”
Il “Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani” o meglio il “Centro Studi”, come per amore di brevità l’abbiamo sempre chiamato, compie quarant’anni. Quarant’anni in cui, non senza difficoltà, ma grazie al costante impegno dei suoi fondatori, ha rappresentato una delle poche, e per questo ancora più preziose, espressioni di ricerca e di promozione del patrimonio storico e culturale del territorio eoliano.
In tutti questi anni, è stato sempre un onore per me essere socio onorario del “Centro Studi” ed è ugualmente stato un piacere, oltre che un onore, contribuire ad alcune fra le tante iniziative ideate e concretizzate che hanno scandito le nostre estati rendendole ancora più uniche e memorabili.
Ma il più grande merito del “Centro Studi”, oggi, non è solo da ricercarsi nel grande sforzo prodotto dai suoi animatori e dal fatto di avere contribuito alla realizzazione di eventi culturali e di approfondimento intelligente e sempre attuale, ma soprattutto per aver creato un’istituzione culturale autorevole assieme ad una consapevolezza diffusa che oggi vedo trasferirsi alla nuove generazioni con il medesimo entusiasmo e che sono certo sarà destinata a durare nel tempo.
Ed allora, auguri al Centro Studi per i suoi “primi” quarant’anni!
Marco Saltalamacchia
A Lipari, nel settembre 1945, Edda Ciano è al confino. La “sorvegliata speciale numero 1”, come ama definirsi, è malata, depressa, chiusa nella solitudine. Il padre dei suoi figli, Galeazzo Ciano, è stato fatto fucilare da suo padre Benito Mussolini. E suo padre è stato giustiziato da quegli italiani che fino a poco tempo prima affollavano Piazza Venezia. Edda è considerata “pericolosa” per il nuovo stato italiano che sta nascendo dalle ceneri del fascismo. A 35 anni sembra una donna finita, condannata a vivere in assoluta solitudine in quella che lei definisce “l’isolaccia”. Non sarà così. Dal mazzo dell’imprevedibile destino esce un jolly: Leonida Bongiorno, un giovane e aitante partigiano comunista nato e cresciuto a Lipari, ed a sua volta appena tornato dalla guerra. Fra la figlia del duce, la “fascistissima” Edda, e il coraggioso tenente degli alpini che ha rischiato di finire fucilato dai nazisti ed orgogliosamente esibisce la tessera del Pci, nasce una grande passione, un amore disperato. Nel “recinto stregato” della piccola isola, i due si incontrano casualmente. Si scrutano, si conoscono, si corteggiano, cercano di difendersi da un sentimento imprevedibile in persone così diverse, infine si amano. Baci dati e negati, fughe repentine, parole sussurrate, poesie dedicate, sguardi persi nel vuoto, momenti di passionalità intensa, lettere, gelosia. Un amore destinato a interrompersi bruscamente quando, dopo il referendum tra Monarchia e Repubblica, un’improvvisa amnistia riporterà Edda dalla sua famiglia. Ormai, nei suoi pensieri non c’è posto che per Leonida, ma Sarà Leonida e commentare nel finale: “Il nostro amore ci ha salvato la vita, ma non siamo riusciti a salvare l’amore.”
“Edda Ciano e il comunista” racconta un idillio che sboccia improvviso nell’incanto delle Isole Eolie, e si nutre della magia di quei luoghi, nell’arco di un anno, un avvicendarsi di stagioni che rimarranno indimenticabili. Lipari e il suo potere evocativo sono a tutti gli effetti il vero terzo protagonista di questa storia, che ha il merito di restituire all’Isola un grande primato di fonte di fascino e di incantesimo: è la potente immagine di un luogo di infinita, struggente, bellezza, dove una donna perduta ritrova la vita e l’amore e dove un uomo vive una passione fin’ora a lui sconosciuta. Ho cercato di scandire visivamente il fascino dei luoghi, dando all’isola luci diverse nei tre atti in cui si articola la storia. Ho cercato una luce livida e chiara, da fredda giornata invernale, per l’inizio in cui si descrive il ritorno di Leonida dalla guerra e l’arrivo al confino di Edda. Poi nel secondo atto questa luce fredda cede il passo ad una solarità ritrovata, via via che alla rivelazione della storia d’amore, si accompagna l’arrivo di un’estate luminosa e per entrambi irripetibile. Infine il terzo atto che vede i due protagonisti separati dalla Storia e alla ricerca di un impossibile futuro insieme, che ha toni e colori più delicati e struggenti, fino al chiarore dell’alba dell’ultima scena.
Le Eolie come “set” ideale di una storia di sentimenti lontana per una volta da ogni tipo di malaffare, mafia e delitti: la Sicilia come “territorio dell’anima”, di cui proprio Edda Ciano, in una sua lettera piena di nostalgia del 1946, diceva: “fra poco a Lipari fioriranno i mandorli; ogni anno questa semplice operazione
della natura, questo poetico annuncio della primavera mi fa tremare il cuore… Sogno a occhi aperti la calma delle notti di Lipari, dell’acqua blu, dell’incanto delle sue voci”
E’ questo incanto, questo sogno, che il mio film ha cercato restituire.
Graziano Diana
L’invenzione del Centro Studi Eoliano nasce dal sogno di alcuni ragazzi di vincere l’isolamento, praticando ciò che, nei millenni, gli eoliani hanno sempre fatto : accogliere, condividere, scambiare e divulgare cultura e valori universali di fratellanza, solidarietà e ospitalità. E quegli amici, oggi uomini e donne più che maturi, nel corso di tutti questi anni, hanno prodotto, veicolato e scambiato ponderosi carichi di cultura in lungo e in largo per il Mediterraneo. Spesso si sono spinti oltre le colonne d’Ercole, verso i continenti americano e australiano, terre d’approdo di tanti emigrati eoliani coi quali sono stati riuniti i capi di una cima spezzata dal tempo.
Mi son avvicinato al Centro Studi la prima volta nel 1990 : l’occasione era data da un convegno sul nuovo codice di procedura penale che porta il nome di un monumento della cultura giuridica e della storia dell’antifascismo italiano, Giuliano Vassalli che del Centro Studi è stato presidente onorario, guida autorevole, sempre presente nel dai primi anni, fino alla morte.
Dopo Vassalli, il Centro ebbe come presidente onorario Vincenzo Consolo; quanti passaggi sono stati fatti con il grande scrittore siciliano, dalla ricorrenza del Constitutum fino all’ultima lectio magistralis tenuta il 18 agosto 2010, a braccio, al fresco serale del giardino, con voce sommessa ma ferma : era quello di Consolo a Lipari, poco tempo prima della morte avvenuta a Milano il 21 gennaio 2012, un ultimo delicato grido, un’invocazione alla fratellanza, qui dove la fratellanza – pur nell’asperità dell’insularismo – abita ogni casa.
E ancora, ricordo l’emozione provocata dal vedere per la prima volta su cassetta i filmati della Panaria Film, la bellissima figura del principe Alliata e degli altri “Cacciatori sottomarini”. Penso poi all’aiuto e all’apporto dato al set di Nanni Moretti in Caro Diario; al rapporto con i fratelli Taviani e alla pubblicazione dell’ormai introvabile libro su Kaos. Ma anche alle ricerche sui confinati, al materiale sulla fuga di Rosselli in motoscafo da Lipari. Per non parlare del costante rispetto per la legalità, spesso divulgata, insieme alla coscienza antimafia e antifascista, nelle scuole. E poi, le pubblicazioni sulla vulcanologia, la tutela delle cave del caolino…e quante sarebbero le attività da ricordare!
E rivedo le conferenze e gli incontri pensati e fatti insieme, come l’indimenticabile pomeriggio del 4 aprile del 1995 con Marcelle Padovani – alla presenza di Maria Falcone – su “La Sicilia di Sciascia e di Falcone”. E poi, quanti pomeriggi culturali, per esempio quelli con Piero Grasso; rivivo la mia incontrollata emozione nel presentarlo, una sensazione mai provata, non riuscivo quasi a parlare : lo introdussi a una platea affollatissima come il magistrato più “falconiano”.
Di quante e quali attività si sono occupati quel gruppetto di amici in quarant’anni. Storie impregnate dei profumi, dei sapori (quanto era bella una delle prime pubblicazioni sulle antiche ricette eoliane, “Pani Caliatu”) e dei colori delle Eolie fissati in una marea di fotografie e documentari, uno più bello dell’altro; per non parlare di quei momenti vissuti alle serate di cinema al Castello, mai poco rimpiante in questi tempi di
desertificazione culturale.
Poi, qualche mese fa, Nino Paino (che Stefano Malatesta in un suo libro – “Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani” – definì “uno svelto e intelligente giovanotto che aveva la faccia di un turco sbarcato alla marina”, “un simpatico turco”, il quale, quando non rispondeva alle telefonate in Pretura, “pensava a progetti che riusciva incredibilmente a realizzare…” e che “in un altro paese sarebbe diventato un grande direttore di festival culturali”) m’inviò un link di Youtube. Nel video c’erano le riprese dell’incontro con Leonardo Sciascia, avvenuto nel lontanissimo 1984. Quanta tenerezza prende l’animo vedere Nino Paino, Nino Saltalamacchia, i due Nini, e i tanti visi noti del Centro, agli inizi di tutto: quant’erano giovani e con quanto entusiasmo e sicurezza si muovevano. C’era anche uno Sciascia impacciato, ma felice di trovarsi a Lipari nella città della sua Controversia Liparitana; davvero una testimonianza inedita e rara.
Il Centro Studi, così, in quarant’anni ha rappresentato l’esprit, l’in sé dell’eolianità poiché ha polarizzato e condensato una storia plurimillenaria e l’ha resa materia affascinante e viva; è stato l’Istituzione culturale eoliana per definizione sostituendosi spesso, anzi sempre, alle istituzioni ufficiali; è stato l’ambasciatore ai livelli più elevati di tutta una popolazione e della sua Storia, fatta anche di sacrifici immani, stratificati nei pianti della gente che lasciava le case abbandonate per emigrare, nei calli dei pescatori e nelle polveri pomicifere depositate nei polmoni dei cavatori di Lipari; e quest’importante circolo culturale è stato, soprattutto, uno degli artefici più importanti del grande successo della Dichiarazione Unesco delle Isole Eolie Patrimonio dell’Umanità, prestigiosissimo fiore
all’occhiello dell’Italia tutta.
Infine, è stato con il Centro Studi che ho pubblicato in tempo di Covid il mio Remore, piccolo libro, scritto affinchè “la memoria possa avere un futuro”, segno del fortissimo legame che ci tiene uniti.
E la testimonianza del Centro Studi Eoliano, nel quarantennale che oggi festeggiamo, non deve andare dispersa : sappiano gli eoliani conservarla e arricchirla proteggendo sempre luoghi e tradizioni dal tanfo dell’omologazione di massa e dall’isolamento e sappiano, soprattutto, i figli di quei ragazzi perpetuare l’amore per le isole Eolie lasciato dai loro infaticabili padri.
Peppe Costa
E’ per me un grandissimo onore l’essere stata chiamata a lasciare una testimonianza sul Centro Studi, che per me ha sempre avuto un valore centrale nel mio rapporto con Lipari.
Il centro Studi è nato quando io ero ancora una ragazza, e da allora, anche grazie a mia madre, Aurelia Famularo Amendola, che per tanti anni ne ha seguito le attività con grandissimo entusiasmo e contagiosissima passione, ha costituito un insostituibile pilastro nella definizione delle mie estati; nei primi anni grazie alle meravigliose proiezioni di film sempre scelti con intelligenza e originalità, poi con i tanti dibattiti, le presentazioni di libri, le tante iniziative che hanno valso nel tempo a creare sull’isola un importante humus collettivo di confronto e di discussione su temi sempre attuali e vitali, e a sviluppare un turismo colto e duraturo.
Il Centro Studi, nella mia esperienza, non ha avuto però solo un ruolo di divulgazione estiva dell’intelligenza e della cultura di Lipari e delle nostre belle isole; è riuscito anche ad assicurare a queste isole un posto importante nel vissuto quotidiano di chi, d’inverno, non le abita. Ricevere a casa propria pubblicazioni su studi importanti, storici, o economici, o artistici, che riguardano la vita, passata, ma anche contemporanea, degli isolani, ma talvolta anche un semplice biglietto di auguri per le feste natalizie, è sempre un grandissimo piacere, che conferma e rafforza un senso di appartenenza a una comunità e a una storia, sentimento che non tutti sono così fortunati di poter provare.
Sono sicura che queste mie impressioni sono condivise da tante persone che, vivendo fuori, come me, amano Lipari come un luogo centrale della
propria esperienza di vita. In questo “luogo”, un posto fondante è occupato proprio dal Centro Studi e da chi lo gestisce con tanta cura e intelligenza; l’insieme di volontà, passioni, amore per le Isole, l’interesse culturale per il mondo e per i suoi avvenimenti, che lo sostanziano, hanno un valore inestimabile, e ci fanno festeggiare quest’anniversario e tutti i prossimi che verranno nella consapevolezza dell’esistenza di un importante lascito di storia e di cultura per le generazioni
future. Tanti auguri quindi al Centro Studi, con la speranza di poter contribuire sempre di più a questo bello e importante compito!
Valeria Amendola
La magia, la leggenda e la storia. Ti afferrano quando scendi dalla nave o dall’aliscafo e non ti lasciano più. Questa emozione è stata condivisa nei millenni, da viaggiatori e da passeggeri di ogni etnia e nazionalità. I cieli, i colori, le luci dell’alba e del tramonto, le nuvole sempre diverse, i vulcani accesi e quelli spenti: i sassolini in mezzo al mondo che sono le nostre isole rendono il tempo immobile e prezioso. Custodire la memoria è l’impresa eroica che il centro studi eoliano – con il suo presidente Nino Paino – compie per tutti noi e per quanti, nei millenni che verranno, torneranno a vivere la stessa magia, le stesse emozioni. Voglio unirmi al gruppo di amici che festeggiano questa tenace e coraggiosa impresa, voglio davvero ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la creazione di luoghi e documenti che gli studiosi potranno sempre consultare e arricchire con nuove scoperte. Nel mondo, queste isole hanno un tesoro unico e inimitabile. Sono state scelte nell’antichità e vanno amate e difese nel presente e nel futuro! Auguri con tutto il cuore!
Barbara Palombelli
Vorrei rivolgere gli auguri più affettuosi al Centro Studi delle Isole Eolie per il 40esimo anniversario dalla fondazione. Il Centro Studi di Lipari svolge un ruolo in primo piano nel promuovere e dare conoscenza delle Isole Eolie in Italia e nel mondo. È un ruolo molto importante perché il Centro Studi, con grande capacità scientifica, è riuscito in questi 40 anni ad approfondire tematiche molto importanti relative ai problemi, alla storia, alle questioni che riguardano l’arcipelago Eoliano. Il Centro Studi ha realizzato a questo fine anche pubblicazioni di libri di altissimo livello che hanno consentito agli italiani ma anche agli stranieri di conoscere sempre di più le Isole Eolie. Vorrei quindi rivolgere un vivissimo apprezzamento agli amici del Centro Studi per il lavoro straordinario fatto in questi 40 anni; e vorrei anche rivolgere un augurio per il presente e per il futuro alle attività che il Centro Studi svolgerà in questa fase molto delicata della ripresa dopo il periodo molto difficile che abbiamo vissuto a causa della pandemia. Vorrei in particolare rivolgere un affettuosissimo saluto all’amico, direttore del Centro Studi, dr. Nino Paino, per la sua instancabile attività di sostegno e di promozione del Centro Studi e con lui ugualmente tutti gli amici del Centro Studi che si sono impegnati in questi anni per rendere il Centro Studi una realtà di grande successo e di efficacia per il bene delle Isole Eolie.
Antonio Maggiore
40 anni del Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani – 16 luglio 2021
“L’isola è fine di ogni viaggio, meta della più grande via per cui è sempre corsa ogni avventura, ha navigato la civiltà dell’uomo; isola è anelito e approdo, remissione d’ogni incertezza e ansia, superamento della natura, inizio della conoscenza, progetto della storia, disegno della convivenza. Ma isola è anche sosta breve, attesa, pausa in cui rinasce la fantasia dell’ignoto, il desiderio del viaggio, il bisogno di varcare il limite, sondare nuovi spazi.”
Così scrive in maniera mirabile Vincenzo Consolo (2006) in uno degli innumerevoli e splendidi libri pubblicati dalle edizioni del Centro Studi di Lipari. L’isola è una metafora della vita ma anche una metafora dell’animo e della mente (A.Siracusano, Il mare come metafora dell’animo e della mente, Conferenza presso il Centro Studi, 18 agosto 1997). L’isola è scoglio nell’immenso mare; al mare, “ad ogni ora primiero”, riserviamo le parole con cui descriviamo il nostro stato d’animo: calmo, tranquillo, agitato, scuro, freddo, caldo. Il mare thalassa, è sale, hals, è distesa pelagos, viaggio e vastità, pontos, profondità, laitma, fonte di ispirazione per poeti e suicidi. Nel mare ci tuffiamo, ci lanciamo dalla terra, per pochi attimi rimaniamo sospesi, attraversiamo il vuoto. Il bambino ripete eccitato il gesto, prova il piacere di superare la paura della separazione e di cadere in un altro mondo; gode della spinta ascensionale che lo riporta a respirare.
Per conoscere bisogna andare oltre il limite e confrontarsi con il paradosso :“l’uomo è l’essere confinario che non ha confini” (R.Bodei, Limite, il Mulino, 2016)
Il cielo,
la terra finisce e lì comincia il cielo,
il cielo, si perde il pensiero quando guardo il cielo,
ritorna il ricordo dolce che ho di te.
Lucio Dalla canta in modo struggente questa bellissima canzone, che mescola assieme emozioni diverse e intense: due soprattutto, il ricordo di ciò che si ama, e la scoperta del limite entro il quale collocare la nostra esistenza-appartenenza. Il confine di quel luogo a cui siamo tanto legati da affidargli il senso della nostra identità, nel nostro caso l’isola-terra. Oltre, al di là del lmite, del finis terrae dell’isola, comincia lo spazio infinito del cielo, del mare, dell’essere infinito, di uno stato di mediumnità in cui ritroviamo gli affetti della nostra vita. Rabindranath Tagore immagina così l’addio tra madre e figlio, suggerendoci il senso del distacco e del passaggio oltre il confine: “Allora io vado mamma, vado! … Mamma mia, vado … Mamma vado, fuori dal tuo petto: non potrai prendermi tra le braccia/Diventerò onda nell’acqua:/ nessuno mi riconoscerà/ e al tempo del bagno /giocherò con te”.
Personalmente sento che nel momento in cui ci immergiamo per i nostri bagni in mare, specialmente se li facciamo nei luoghi speciali della nostra infanzia, o mentre passeggiamo in punti particolari dell’isola, incontriamo e percepiamo la presenza dei nostri affetti, dei nostri cari, dei momenti dolci che abbiamo vissuti in diverse fasi della vita. L’essere isolani è essere capaci di vivere, avere in noi, un sentimento profondo di appartenenza all’isola, scoprire in noi stessi una particolarità senso-percettiva che costituisce un marchio indelebile nel nostro mondo interno e conseguentemente del modo di entrare in relazione con quello esterno. E’ un tratto di personalità che possiamo chiamare isolanità.
Il discorso sull’isolanità è un discorso complesso e affascinante in cui si intersecano diversi piani concettuali riguardanti, l’isola e il suo significato, il singolo abitante e la comunità, i luoghi e l’essere gruppo. L’isolanità è una riflessione sull’essere, sugli stati evolutivi della mente, sul modo di sentire il mondo, su i nostri legami profondi, sull’amore, sull’appartenenza, sulla memoria, sul sogno, sulla dipendenza, sull’attaccamento, sulla separazione, sulla paura, sugli spiriti, sulla follia, sulla mancanza, sulla assenza, sulla attesa, sulla nascita, sulla morte. (A.Siracusano, Appunti sulla Isolanità: Essere Isolani, il sentimento dell’isola, Conferenza presso il Centro Studi, 12 agosto 2 su Fra004; Memoria dell’isola, Oblio del mare, Conversazione su Francesco Siracusano, Centro Studi 18 agosto 2009).
“Quando spunta la luna, il mare copre la terra/ Il cuore diventa isola nell’infinito”. Nell’isolanità il nostro cuore è un isola, è il luogo dove percepiamo dimensioni alternative dello spazio e del tempo; l’isolanità è una condizione altra rispetto ai nostri normali di livelli di coscienza, è spesso uno stato mentale altro con maggiori collegamenti con l‘inconscio, con il mondo interno, con la vita onirica, piuttosto che con quella della logica della coscienza nello stato di veglia. Il rapporto con l’isolanità è fonte di mistero e incertezza, sentimenti opposti, umori cangianti. Il luogo delle isole è vagante, l’isola è natante, si muove c’è e non c’è. L’isola è sogno, i sogni sono una isola. I sogni sono innumerevoli, quante sono le onde del mare,.
L’isolanità, accresce la tendenza a sognare, anche a costo di far apparire, nello sconfinato mare interno, incubi, night-mare, sogni vividi, pezzi di vita. Credo che i sogni abitino in un luogo nascosto nella profondità dell’animo, una terra appartata e marginale, collegata alla nostra mente tramite un ponte di conoscenza oniroide. I sogni non giungono casualmente nella mente degli uomini, liberi di volare dove vogliono, ma devono filtrare attraverso uno spazio capace di trasformarli in elementi di conoscenza. L’ottava isola è uno di questi spazi.
L’isola appare un luogo incerto, sfumato in cui non è chiaro ciò che si può incontrare. Chi siano i suoi abitanti, i suoi monumenti, le sue strade. Luogo di sicurezza e di incertezza. L’immagine metaforica dell’isola come luogo fuori dal tempo, senza regole, insieme di realtà e sogno. Luogo di libertà, di iniziazione e di confine. Sull’isola ognuno di noi può nascere o rinascere, acquisendo così nell’essere della isolanità una indelebile traccia genetica: un costante contrasto emotivo tra ansia e tranquillità, tra razionalità e irrazionalità, tra eros e thanatos.
La descrizione della percezione geografica delle isole diventa così una narrazione dell’umore e dell’animo isolano:
“una rappresentazione, quella dell’eolie, che varia con il variare nel giorno della luce, nei mesi, nelle stagioni, con il variare dei cieli, dei soli, e delle lune. E ora sono remote, le isole, lievi, diafane, ora ferme o vaganti, vaganti nel mare, ora sospese in cielo o invisibili, nascoste dietro cortine di nuvole o vapori, ora avanzanti, prossime alla costa siciliana, spoglie nitide, di straordinaria evidenza.” (V.Consolo, op.cit.).
Fenomeno curioso è quello delle isole fantastiche, isole che non ci sono e che potrebbero rappresentare l’emergere del pensiero dal caos dell’emozione e dell’inconscio. Concetto affascinante e di strano significato, per parlare di un luogo dobbiamo parlare della sua non esistenza. L’isola prima di tutto non è; è un’assenza che immagina una presenza, e come un pensiero che deve ancora essere pensato e lì in attesa. Queste isole leggendarie o collocate in un posto sbagliato sono state descritte in tutti mari del mondo. Grottesca è la storia dell’isola di Onaneuse scoperta dal capitano Hunter a circa 300 miglia a nord-ovest delle Figi, i cui abitanti avevano il mignolo della mano sinistra amputato alla seconda falange, oltre ad avere la pelle delle guance tatuata con strani disegni. Ricercata da schiere di antropologi ma mai trovata. Nel 2014 (Lettura, Corriere della Sera, 27 luglio 2014) viene dedicato un libro a “Stella” isola fantastica, geneticamente modificata, in cui la vita è esclusivamente dedicata al piacere privo di desiderio.
La necessità di fantasticare l’esistenza di un isola risponde al desiderio di difendersi dalla paura del vuoto. Immaginare nel nulla la presenza di una terra, disegnare un isola nell’infinità del mare svolge la stessa funzione che lo Zero ha nel calcolo matematico, necessario per poter sviluppare il pensiero matematico. Levi Strauss parla di indicatore fluttuante, per indicare l’idea che in tutte le società è necessario formulare il concetto di assenza, diremmo noi del non ancora pensabile.
L’isola è un emergere del pensiero, è un affioramento dell’Io. E’ stato scritto che ogni cosa emergente deve prendere all’inizio la forma di un isola. Così che l’isola è archetipo della terra (J.Hamilton-Paterson)
Proviamo ora a spiegare il perché del titolo ottava isola, e perché lo abbiamo scelto per festeggiare i 40 anni del Centro Studi.
Il Centro Studi Eoliano si trova a Lipari in Via Maurolico 15, ed ha come logo, il profilo stilizzato del castello. Si accede attraverso una porta, salendo alcuni gradini. Sarebbe un errore pensare che il Centro Studi si trovi solo lì, nel giardino e nelle stanze, mentre è giusto chiedersi dove questo Centro abbia inizio e fine.
Il Centro Studi è l’ottava isola, una isola fantastica ma reale, senza confini, compare e scompare, è errante, non solo tra le altre isole o all’interno di esse, ma si sposta ovunque. I suoi grandi capitani sono i due Nini: Nino Saltalamacchia e Nino Paino che riescono sempre a farci andare oltre i confini reali del Centro. Questa isola fantastica ci porta nella mediumnità del sapere, permette di incontrare culture diverse e di farci capire di più della nostra appartenenza all’isola. Frequentare il Centro Studi arricchisce la nostra isolanità.
L’ottava isola è composta da molte cose: persone, incontri, relazioni, oggetti, libri, notizie, mostre, luoghi, immagini, suoni, sapori, odori, memorie, sogni, ma soprattutto da molteplici “frammenti vivi di cultura”, legati assieme dalla condivisione dell’esperienza della libertà e dall’amore del conoscere. Al contrario di quelle isole reali e non fantastiche, che possiamo chiamare “materiali”, formate da frammenti morti di plastica, che rappresentano il prodotto della non cultura e non sono capaci di generare creatività e annichiliscono il pensiero.
Un ricordo prima di concludere. Mio padre, il Generale Pino Siracusano, grande sostenitore del Centro, riceveva regolarmente le pubblicazioni del Centro Studi, assieme alla scheda colorata di iscrizione. Per Lui l’arrivo del plico da Lipari, nelle varie parti d’Italia dove vivevamo, riaffermava un legame profondo con la creatività dell’isola e costituiva il segnale di una vitalità isolana ma contemporaneamente era uno stimolo per nuovi pensieri e riflessioni.
Sfogliare i libri dei viaggiatori, da Dumas a Maupassant, sui confinati, su Lipari al tempo degli Arabi, sulle emigrazioni, sugli argomenti di attualità politica, sul cinema, sulla storia, sui luoghi delle diverse isole, permetteva, appunto, di andare oltre il confine. Alcune delle storie raccontate nei libri si intrecciavano con quanto accedeva nella vita fuori da Lipari, costituendo così un ulteriore spinta a pensare fuori dai confini.
Ricordo ancora che mio padre e mia madre tenevano molto, quando erano a Lipari, a partecipare agli incontri del Centro, che però si svolgevano alle ore 19, e questo “obbligava” ad un ritorno anticipato dall’amato mare, cosa non sempre gradita a noi figli e nipoti. Piccolo ma costante problema familiare, perché ancora oggi si ripropone con continuità.
L’eterno conflitto tra le generazioni, tra il piacere e lo sforzo di conoscere, si può ricomporre nell’ottava isola fantastica, dove è possibile incontrare sensazioni, emozioni e ricordi, capaci di far battere il cuore-isola.
Alberto Siracusano
Professore Ordinario di Psichiatria-Università Tor Vergata Roma